venerdì 7 febbraio 2014

[Recensione] Jonathan Swift - Il leone non mangia la vera vergine



Autore: Jonathan Swift
Titolo: Il leone non mangia la vera vergine
Casa editrice: La Spiga-Meravigli 
Anno: 1993
Prezzo: ₤. 3.000 

Il sarcasmo, si sa, è spesso frutto di una visione pessimistica del mondo. Nei grandi che vi ricorrono, però, c'è un desiderio di non arrendersi di fronte allo stato delle cose: la volontà disperata di piegare il mondo a sé stessi. Un simile sarcasmo è la cifra dei brevi scritti di Jonathan Swift (Dublino, 1667 - ivi, 1745) contenuti ne Il leone non mangia la vera vergine, scritti di frequente adombrati da I viaggi di Gulliver. Sono pagine preziose, giacché non disponibili neppure nella più grande raccolta in lingua italiana dell'opere di Swift, vale a dire quella curata da Masolino D'Amico. Se non è possibile apprezzare appieno il Gulliver senza conoscere la temperie in cui è stato prodotto, ciò è altrettanto vero per la restante produzione swiftiana, dove è estremamente marcato il carattere occasionale: si tratta, infatti, di «scritti corsari» ante litteram, in cui l'autore prende posizione ai temi caldi dell'attualità, senza che ciò vada a discapito della modernità dei contenuti.1 La lettura del testo suddetto è molto piacevole, anche grazie alla traduzione fluente di Giovanni Acunzoli, ma la stringata introduzione mi ha spinto ad approfondire. Perciò, oltre a recensire il testo, voglio fornirvi alcune nozioni propedeutiche alla lettura del volumetto.
Nel racconto eponimo che apre il libercolo, attraverso l'espediente del sogno ci viene delineando un mondo dove ogni parrocchia possedeva un leone a carico dell'erario pubblico: alla fiera vengono sottoposte, prima di convolare a giuste nozze, le ragazze che dichiaravano di essere vergine; il leone avrebbe sbranato soltanto le ragazze non più illibate. Questa satira, dai toni grotteschi, incentrata sul tema della falsa pudicizia, a prima vista sembra un attacco misogino; tuttavia, se lo si guarda alla luce del drammatico finale, si scorge una denuncia della condizione di minorità inflitta all'epoca alla donna.
La stessa amara e rassegnata misantropia si respira in Modesta proposta (1729). Quando scrisse questo gustoso pamphlet, vale a dire dopo il successo di Gulliver e il suo ultimo soggiorno in Inghilterra, Swift era un uomo profondamente amareggiato dalla vita, più sfiduciato di prima nei confronti del consorzio umano: da un lato, i malanni che lo avevano da sempre afflitto si erano acuiti; dall'altro, gli era giunto la notizia inerente alla morte dell'amata Stella. Come Breve sguardo sulla situazione in Irlanda (1728), è una denuncia delle responsabilità da parte degli inglesi sulla situazione di miseria dove versava la sua nazione.2 Ma di quale «modesta proposta» parla l'autore? Di un rimedio che mira a «impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro paese» e a «renderli utili alla comunità». Come? Facendo sì che i fittavoli diano in pasto i propri figli ai loro signori. Il pamphlet è costruito in climax: dopo un'accurata disamina della condizione dei fittavoli della loro epoca, corroborata dal ricorso puntuale a dati economico-demografici, si giunge alla scioccante proposta dell'antropofagia, condita da minuziosi consigli gastronomici. Il tutto è descritto in modo così serioso da sconvolgere i contemporanei di Swift, i quali tacciarono senza appello l'opera come una prosa di pessimo gusto.
Si passa, poi, alla Meditazione su un manico di scopa, in cui si cogliona Robert Boyle (Lismore, 1627 – Londra, 1691): teologo, filosofo naturalista, inventore, chimico e fisico irlandese: il bersaglio, nello specifico, sono le Occasional Reflections upon Several Subjects (1665). L'invenzione è ardita:
Certo un uomo è come un manico di scopa: la natura lo invia in questo mondo forte e vigoroso, in condizioni prosperose e con tutti i capelli sulla testa, i veri rami dei vegetali dotati di ragione; poi, la mannaia dell'intemperanza gli taglia tutti i rami verdi e lo lascia come un tronco avvizzito. Allora l'uomo ricorre all'artificio, e decide di indossare il parrucchino, valutando la sua essenza su una massa fasulla di capelli coperti di polvere e incapaci di crescere veramente.
L'opera fu composta nel 1703, a casa di Lord Berkely, di cui Swift era cappellano. Una sera, si racconta, in luogo delle lettere edificanti che era solito fare a Lady Berkely, lo scrittore irlandese avrebbe letto questa pagina di parodia delle medesime, senza che la signora si accorgesse di niente.3 Seguono altri tre brevi scritti, gustosi e (perlomeno per me) poco noti, quali il Saggio tritico sulle facoltà della mente (1707) e un brano tratto da L'informatore (1728). Quest'ultimo, pubblicato anonimamente assieme all'amico Tomas Sheridan, è una tagliente e spesso arguta raccolta di commenti sulla scena sociale e politica dell'Irlanda negli anni precedenti alla pubblicazione della Modesta proposta. Ho trovato curioso come pure in dei Suggerimenti per un saggio sulla conversazione si sottolinei certi aspetti deteriori dell'animo umani:
Tale è l'importanza che ogni uomo si attribuisce, pronto a pensare che la stessa importanza gli venga attribuita dagli altri, che trascura di compiere almeno una volta questa facile e ovvia riflessione: i suoi affari hanno per gli altri la stessa importanza che gli affari degli altri hanno per lui; e quanto scarsa questa importanza sia ne è certamente a conoscenza.
Purtroppo alcuni di questi scritti sono anche testi di difficile fruizione, se - come me - non si conosce un minimo di accenni stilistici e linguistici dell'inglese settecentesco.4 
Spero, a questo punto, di avervi invogliato a leggere l'opera in questione. Passo e chiudo.


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[Recensione] Jonathan Swift - Il leone non mangia la vera vergine diMarco Luchi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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1. Masolino d'Amico (a cura di), Jonathan Swift. Opere, I Meridiani - Mondadori, Milano 20014, pp. XIII-XIV 
2. Masolino d'Amico (a cura di), op. cit., p. 1012. 
3. Masolino d'Amico (a cura di), op. cit., p. 586. 
4. Masolino d'Amico (a cura di), op. cit., p. XIX. 

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